Cantico magico
A Christmas Carol: un incantesimo di Natale
Dalla magia di Dickens all’ipnosi di Erickson, attraverso Jung e Assagioli: come un racconto vittoriano anticipò la moderna psicologia.
John Leech, “Il fantasma di Marley”, illustrazione da A Christmas Carol. In Prose. Being a Ghost Story of Christmas di Charles Dickens. Londra: Chapman & Hall, 1843. Prima edizione.
E se il Natale fosse un momento di vera illuminazione e rinascita?
Cantico di Natale di Charles Dickens (A Christmas Carol, in Prose. Being a Ghost-Story of Christmas, 1843) è uno dei capolavori della letteratura mondiale. Breve ma complessa, è una storia che può essere letta da diverse prospettive. Storia di fantasmi, anzitutto, come dice il titolo originale. Ma anche denuncia sociale, parabola morale, viaggio psicologico.
Come tutti i grandi scrittori, Dickens possedeva il dono di raccontare in modo vivido e avvincente. Di più, era un profondo conoscitore della natura umana, un esploratore della coscienza. E, come vedremo, i suoi strumenti andavano oltre la letteratura.
Risveglio e rinascita
È la vigilia di Natale del 1843. Ebenezer Scrooge è un vecchio avaro inasprito dalla vita. L’avidità l’ha reso schiavo, l’egoismo cieco. Disprezza gli altri, i buoni sentimenti, il Natale. Vive solo, cupo, pieno di amarezza.
Quella notte, il fantasma in catene del suo defunto socio Marley lo avverte che gli verrà concesso di redimersi. Tre spiriti del Natale lo accompagnano, uno alla volta, in un viaggio nel passato, nel presente e nel futuro. Con la loro guida, Scrooge prima rivive ciò che è stato, poi assiste a ciò che è, infine vede ciò che sarà.
Inizialmente scettico, Scrooge è infine scosso nel profondo. “Dimmi che queste sono ombre di ciò che può essere, non di ciò che sarà!”, supplica Scrooge quando lo spirito silenzioso gli indica le disgrazie che lo attendono. Non prova semplicemente orrore. Ha genuinamente compreso che la sua triste vita è il frutto di scelte che lo hanno isolato e inaridito.
Al risveglio, è trasformato. Prova nuovamente gioia, amore, vitalità. Tiny Tim, il figlioletto malato di un suo dipendente, non morirà grazie alla ritrovata generosità di Scrooge. “Dio ci benedica tutti!”, conclude il piccolo Tim.
L’altro Dickens
Oltre a essere uno scrittore affermato, Dickens aveva un lato meno noto. Era amico di un occultista, il politico e scrittore Lord Edward Bulwer-Lytton; e del medico John Elliotson, presidente nel 1833 della Royal Medical and Chirurgical Association, contestato per l’utilizzo con i suoi pazienti del mesmerismo — il metodo terapeutico ideato da Franz Mesmer. Soprattutto, Dickens stesso era un mesmerista convinto e praticante.
Va ricordato che all’epoca non esistevano ancora gli anestetici, e che il medico militare scozzese James Braid aveva dimostrato l’efficacia del mesmerismo nella pratica chirurgica. Oltre mezzo secolo dopo il discredito di Mesmer in Francia, Braid innovò il metodo, ne riabilitò la credibilità scientifica e lo battezzò con un nuovo nome: ipnosi.
Malgrado la sua vicinanza a temi esoterici, Dickens aveva una posizione critica e scettica riguardo ai medium spiritualisti, che pure erano molto popolari in epoca vittoriana. Non credeva nella comunicazione coi defunti e non prendeva parte a sedute spiritiche. Credeva, invece, all’esistenza di forze invisibili naturali.
Anticipando la nascita della psicologia, Dickens vedeva i fantasmi non come spiriti letterali, ma come forze interiori in cerca di espressione — proiezioni psicologiche.
Il risveglio di Scrooge lascia nel dubbio se il viaggio sia stato reale o immaginario. Ma questa ambiguità non è casuale: negli stati ipnotici, la distinzione tra esperienza interiore e realtà esterna si dissolve. Ciò che conta è la trasformazione.
Storie trasformative
Questa concezione dickensiana dei fantasmi come forze interiori e del potere trasformativo delle storie anticipa il lavoro di un altro maestro della narrazione terapeutica: Milton Erickson (1901-1980), grande innovatore dell’ipnosi clinica e ispiratore della programmazione neurolinguistica (PNL).
I suoi racconti — spesso aneddoti familiari, della sua infanzia o di casi clinici — assommavano valore educativo, forza simbolica e risonanza emotiva. Ascoltando Erickson, il paziente entrava in uno stato di fascinazione, allentava i suoi schemi nevrotici e lasciava che i messaggi agissero a livello inconscio o semi-conscio come semi trasformativi.
La fascinazione è amplificata dall’abilità narrativa. Nel caso di Dickens, si tratta dell’utilizzo magistrale del linguaggio evocativo e dei dettagli sensoriali. Ecco ad esempio come descrive il fantasma di Marley:
“Il suo corpo era trasparente; così che Scrooge, osservandolo, e guardando attraverso il suo panciotto, poteva vedere i due bottoni del cappotto dietro. Sebbene guardasse il fantasma da parte a parte, e lo vedesse in piedi davanti a lui — sebbene sentisse l'influenza gelida dei suoi occhi freddi come la morte, e notasse la tessitura stessa del fazzoletto piegato legato intorno alla testa e al mento — ancora non poteva credere a ciò che vedeva.”
Leggendo, non possiamo far a meno di immaginarci il fantasma, e provare l’incredulità di Scrooge a quella bizzarra visione.
Quando poi la trama risuona con i propri bisogni e desideri, chi ascolta, legge o guarda (nel caso di un film) è catturato e si immedesima nel protagonista — l’identificazione narrativa.
La storia di Scrooge mette il lettore di fronte alla responsabilità delle proprie scelte: si raccoglie ciò che si semina — un concetto proverbiale, che risuona sia con la virtù umanistica che con il karma buddhista. Ma Dickens va oltre la semplice morale. Il suo è un invito alla trasformazione.
Al potere ipnotico della narrazione, Dickens aggiunge infatti elementi simbolici e archetipici della trasformazione. Il Natale anzitutto — la nascita del Redentore. Il viaggio con gli spiriti guida, come Dante con Virgilio e Beatrice. La “notte oscura dell’anima” che precede il risveglio — la “nigredo” alchemica che precede la trasformazione in oro.
Scrooge non è intrinsecamente malvagio, può essere salvato: il cinismo non è la sua essenza, è la sua difesa dai sentimenti che possono ferire — in termini alchemici, il suo “piombo”. È sopraffatto dalla sua Ombra (Jung) o identificato con la sub-personalità dell’avaro razionalista (Assagioli).
Queste dinamiche interiori escludono l’espressione di tutte le altre parti e potenzialità della personalità. Incatenato al passato, Scrooge non può sollevarsi al di sopra del suo ego. Non ha ancora incontrato la sua vera essenza, il suo “oro”, il Sé.
Viaggio ipnotico
Ed è proprio questo il dono che gli viene offerto. La trasformazione è possibile, ma richiede il coraggio di attraversare i propri fantasmi, di vedere la verità su se stessi e di scegliere diversamente.
Scrooge giunge all’illuminazione compiendo un viaggio notturno: uno stato liminale — tra sogno e veglia, tra realtà e visione. Come nella trance ipnotica, l’esperienza è percepita come reale.
Il viaggio si svolge attraverso il tempo, in tre tappe. In ognuna, Scrooge è accompagnato da uno spirito — guide più evolute, custodi necessari per affrontare la verità su di sé. Da spettatore di se stesso, Scrooge raggiunge una diversa consapevolezza di sé.
Rivisitando il passato, comprende l’origine delle sue ferite e dei pesi che lo opprimono. Osservando il presente, scopre la vera ricchezza che ha negato a se stesso. Immaginando il futuro, ritrova la capacità di scegliere e di cambiare.
Questa struttura temporale fondamentale intuita da Dickens — mezzo secolo prima della nascita della psicologia come disciplina — verrà impiegata in tutte le principali tecniche trasformative: dalla psicoanalisi alla psicosintesi, dall’ipnosi alla PNL.
Il tempo, ci ricorda Dickens, non è solo lineare: agendo nel presente possiamo riscattare il passato. E il futuro non è scritto finché c’è coscienza e volontà di cambiare.
“Non sono l’uomo che ero. Non sarò l’uomo che sarei dovuto diventare se non fosse stato per questo incontro”, dice Scrooge consapevole e cambiato. La trasformazione interiore è avvenuta durante il viaggio. Il suo impegno per il futuro è solenne, sentito, concreto.
Con il suo risveglio fisico e spirituale, nulla sarà più come prima:
“Scrooge tenne fede alla sua parola. Divenne un buon amico, un buon padrone, un buon uomo, buono come il buon vecchio mondo ne abbia mai conosciuto uno”.
Ripetendo ritmicamente la parola “buono”, Dickens ne intensifica l’effetto e ne amplifica la portata. Scrooge cambia non solo la sua condotta, ma la sua identità, il suo posto nel mondo. Non è più solo, ha ritrovato se stesso. È in pace e in armonia con la vita.
Cantico magico
Gli interessi “occulti” di Dickens e la natura trasformativa della storia suggeriscono un’ipotesi sorprendente ma plausibile: e se Dickens avesse progettato il Cantico come un incantesimo?
Dickens distillò la storia in poco più di sessanta pagine manoscritte, per renderla accessibile a un pubblico ampio. E la scrisse in sole sei settimane, nell’autunno del 1843, perché fosse pubblicata proprio per Natale, così da far coincidere il tempo della narrazione con quello reale, e la lettura con la sacralità del momento.
Identificandosi, il lettore avrebbe vissuto come proprio il risveglio spirituale di Scrooge.
Inoltre, Dickens intitola il racconto “un canto di Natale in prosa”, e chiama i capitoli “strofe”: voleva che le scene avessero la forza lirica ed evocativa dei versi di un poema — o di un incantesimo.
In inglese, incantesimo si dice spell, ma anche incantation o enchantment. Le antiche formule magiche, infatti, non venivano semplicemente pronunciate, ma cantate o recitate ritmicamente. Il canto — la modulazione della voce, il ritmo, la ripetizione — aveva potere rituale, alterava lo stato di coscienza.
Oltre al titolo del racconto, Dickens inserisce nella prima strofa una carol inglese tradizionale, risalente al XV-XVI secolo: “God Rest, Ye Merry Gentlemen”. Questo dettaglio ha un significato preciso.
Nella Londra vittoriana, i carolers erano gruppi di persone — spesso poveri, bambini o musicisti di strada — che nel periodo natalizio cantavano davanti alle case, ricevendo un’offerta.
Un ragazzino canta la carol affacciandosi alla porta del gelido ufficio di Scrooge: “Dio vi mantenga di buon animo, Signore! Lieto annuncio di conforto e gioia!”. Ma il vecchio avaro lo scaccia.
La carol non è un semplice canto, è una benedizione. I versi racchiudono esattamente ciò che Scrooge deve imparare: uscire dal rancore, perdonare, trovare conforto, aprirsi alla vita. Ponendoli all’inizio della storia, Dickens anticipa il finale — una suggestione all’inconscio, che predispone chi legge alla trasformazione.
Infine, chiudendo con le parole di Tiny Tim, Dickens volge l’incantesimo verso il lettore e verso di sé:
“Dio ci benedica tutti!”.
Dal 1843 a oggi, la magia letteraria di Dickens illumina tutti coloro che l’accolgono. Non solo a Natale.
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